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Incontro telematico Pasqua 2021

Eventi

U.T.E
Martedi 30 Marzo 2021
INCONTRO TEMATICO VIRTUALE
"Il senso della Pasqua in tempo di pandemia"
Piedi dei discepoli e piedi del Risorto


Link: DIAPOSITIVE (clicca sulla parola DIAPOSITIVE)

1. DIAP Locandina
2. " E' risorto non è qui!
"E' risorto, non è qui." Sono le parole del vangelo che annunciano la risurrezione di Gesù.
In questo tempo emergenziale che stiamo vivendo vorrei riflettere su ciò che questa festa cristiana, che è appunto la Pasqua, ha implicato ed implica nella storia che viviamo.
"Ecco, io faccio una cosa nuova: non ve ne accorgete? Aprirò una strada nel deserto" (Is 43,19). Questo testo di Isaia mi sembra la chiave giusta per avviare una conversazione tutti voi. Penso che sia vitale, benché non facile, pensare che quello che accade e ad alcuni appare come l'avanzare della rovina, sia invece l'inizio di un nuovo esodo: niente sarà come prima!

3. Diap. La situazione in cui viviamo sta mettendo alla prova la fede, quella della gente, perché siamo come assediati da una minaccia di morte. Per alcuni sperimentare la fragilità della nostra esistenza, vederla minacciata dal virus e scoprire il limite delle possibilità umane di controllare e sanare, può essere motivo per aprirsi a una dimensione ulteriore affidandosi a Dio. Per altri invece quanto sta accadendo può diventare la prova dell'irrilevanza di Dio, della sua assenza e della necessità di mettere le nostre speranze nella scienza, nella tecnica, nell'organizzazione.



4. Diap Per la civiltà occidentale, il progresso scientifico ha avuto e continuerà ad avere un ruolo di prim'ordine. In esso ha posto la massima fiducia, facendo delle certezze raggiunte con la ricerca quasi altrettanti dogmi ai quali affidare la propria sorte. Chi respira questa cultura non pensa che non sarà mai in nostro potere aggiungere un giorno solo alla nostra vita (cfr Mt 6,27).
Durante la pandemia, la paura di tutte le paure si è affacciata sulle nostre vite: la paura di morire. Il potenziale rischio del contagio e la malattia così come si è presentata specialmente nella prima fase e per una certa fascia di persone, ci hanno messo dinanzi alla consapevolezza di non avere il controllo della vita, ci hanno travolto in una spirale di ansie generali e ci hanno messo a contatto con la parte più vulnerabile di noi.
Anche questo fa tutto sommato bene: non sentirsi invincibili è una grande conquista della vita e un grande guadagno in umanità. Non ruotiamo più intorno ai nostri deliri di onnipotenza e accogliamo serenamente la nostra fragilità.

Vorrei rifletter con voi, attraverso momenti salienti che caratterizzano la Pasqua.

5. Diap I L D R A M M A D E L V E N E R D Ì

"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46).

Nel racconto evangelico il grido uscito dal cuore di Gesù Crocifisso rimane sul momento senza risposta. Possiamo immaginare che anche i familiari di Gesù o i suoi amici, chi gli era rimasto vicino o chi si era allontanato, abbiano fatto pro-prie quelle parole: "Dio nostro, perché ci hai abbandonato?".
In questi mesi di pandemia tutti ci siamo chiesti il senso di un'esperienza così imprevedibile e tragica. "Si fece buio su tutta la terra" (Mt 27,45): è come se quelle tre ore, da mezzogiorno alle tre del pomeriggio del Venerdì, si siano ora dilatate, avvolgendo il nostro mondo con le tenebre della sofferenza e della morte.
La pandemia ha rivelato il dolore del mondo: ne ha di certo prodotto e ne produrrà anche in futuro, con conseguenze economiche e sociali vaste e persistenti. Si tratta di sofferenze profonde: come la morte di persone care, soprattutto di anziani, senza la prossimità dell'affetto familiare, il senso di impotenza di medici e infermieri, lo smarrimento delle istituzioni, i dubbi e le crisi di fede, la riduzione o la perdita del lavoro, la limitazione delle relazioni sociali.
Il Coronavirus ha dato una scossa alla superficialità e alla spensieratezza e ha denunciato un'altra pandemia, non meno grave, spesso ricordata da papa Francesco: quella dell'indifferenza. L'immagine del mondo, colorato di zone rosse in base alla diffusione del virus, fa pensare all'immagine biblica della terra "rossa", perché bagnata dal sangue del fratello che "grida" a Dio (cf. Gen 4,10).
Tutto questo è come riassunto dall'urlo di dolore lanciato dal Crocifisso verso il cielo, quasi un'accusa a Dio, una drammatica domanda di senso posta di fronte alla morte: perché tanta sofferenza nel mondo? È un interrogativo che risuona nel cuore di tutti, credenti e non credenti, e che chiede di essere raccolto.
Sul Calvario c'è però dell'altro. Nei pressi della croce ci sono alcune donne, il discepolo amato, il centurione, Nicodemo, Giuseppe di Arimatea: poche persone, certo, ma rappresentanti di un resto di umanità capace di "stare in piedi" sotto la croce (cf. Gv 19,25) per tenere compagnia a Gesù, per accompagnarlo alla morte, per garantirgli una sepoltura dignitosa. Quel Venerdì si rivela così un giorno non solo di violenza e morte, ma anche di pietà e condivisione.
Se guardiamo il nostro presente alla luce di questa scena, non possiamo non riconoscere che anzitutto i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari sono "stati in piedi" sotto la croce delle persone contagiate.

6. Diap I L S I L E N Z I O D E L S A B AT O

"E fu sepolto" (1Cor 15,4). Dopo la morte Gesù si è lasciato deporre dalla croce, stendere a terra, avvolgere nei teli, porre dentro il sepolcro, oscurare da una grossa pietra. Quella che il corpo di Gesù subisce è una passività preziosa, che rivela la nostra stessa passività: veniamo al mondo perché voluti e accolti da altri, siamo sfamati, nutriti e vestiti da altri e, alla fine, non saremo più padroni del nostro corpo, consegnato ad altri e alla terra. Che lo vogliamo o no, siamo "dipendenti", siamo limitati.
Il virus ha assestato un colpo fatale al delirio di onnipotenza, allo scientismo autosufficiente, alla tendenza prometeica dell'uomo contemporaneo. Ha creato una profonda inquietudine, quasi un trauma planetario, specialmente nelle zone ricche e industrializzate della terra: uno smarrimento speculare rispetto al senso di sicurezza che diventava facilmente spavalderia. Improvvisamente, anche questa parte di umanità ha dovuto fare i conti con il limite, con la propria consegna nelle mani di altro da sé, con una grossa pietra all'ingresso del sepolcro.
E ci si è resi conto, come ha ricordato papa Francesco, che "siamo sulla stessa barca" (27 marzo 2020): non esistono navi sicure e zattere sfasciate, ma un unico grande traghetto sul quale pochi credevano di potersi riservare scomparti privilegiati. Adesso - si potrebbe dire - "siamo nello stesso sepolcro": condividiamo paura e morte, ansia e povertà. Tutti, senza distinzione, abbiamo fretta di uscire dal sepolcro. Vorremmo risorgere subito dopo il Golgota. Ma in questa fretta si nasconde una tentazione: quella di considerare la pandemia una brutta parentesi, anziché una prova per crescere; un chrónos da far scorrere il più velocemente possibile, anziché un kairós da cogliere e da cui lasciarsi ammaestrare.
Il giorno dopo la morte di Gesù è segnato dal silenzio. Non un silenzio vuoto, ma riempito dall'attesa e dalla condivisione.

7. Diap L A S P E R A N Z A D E L L A D O M E N I C A


Gesù risorge solo il terzo giorno, quando ormai la morte sembrava averlo inghiottito per sempre, quando la pietra pareva averlo tumulato definitivamente. Solo il terzo giorno, perché la risurrezione è vera e credibile quando abbraccia la morte e la sepoltura: il corpo di Gesù risorto è pienamente "trasfigurato", perché in precedenza aveva accettato di essere completamente "sfigurato". La sua gloria risplende, perché è passata attraverso una piena solidarietà con gli uomini: ha raccolto tutto l'umano, anche nei suoi risvolti più orribili.
La pandemia ha messo alla prova l'annuncio della speranza cristiana, la "beata speranza" di cui parla la liturgia.
Nonostante i tentativi di rinnovare l'annuncio della speranza cristiana (cf. Benedetto XVI, Spe Salvi), siamo rimasti ancorati ad una concezione secondo cui l'immortalità e la risurrezione sono temi del "post": riguardano cioè solo ciò che saremo dopo la morte. Nella cultura occidentale temi come la fine e l'oltre sono stati in buona parte rimossi. La vita eterna, con tutti i suoi risvolti - giudizio, paradiso, purgatorio, inferno, risurrezione - è banalizzata o relegata nello scaffale .

E, così, anche in questo tempo di pandemia, la risurrezione che ci segna e in cui crediamo per fede, ci sospinge a ricominciare la nostra vita, le nostre attività lavorative e la nostra vita sociale in un modo nuovo. Abbiamo bisogno di una rinascita interiore, morale, culturale e sociale, oltre che spirituale.
Se i mesi più difficili della pandemia e del lockdown hanno in qualche modo rappresentato un essere "chiusi nella tomba", esposti alla fragilità e al rischio e sballottati dalla paura; in fondo, scendendo nella tomba e toccando con mano la fragilità e il rischio della morte, lasciamo andare molte cose di noi e del nostro mondo che ci accorgiamo non essere così necessarie e importanti. La cosa più importante nella vita, infatti, è non rimanere a giacere nella tomba per troppo tempo. Anche Gesù si ferma nella tomba, ma il suo è solo un passaggio - per l'appunto la Pasqua - di tre giorni. Anche noi spesso giacciamo nel sepolcro della nostra paura, della nostra rassegnazione o autocommiserazione. Ciò che ci trattiene nella tomba sono anche le nostre attese esagerate nei confronti della vita, il nostro perfezionismo, la paura della sconfitta, il giudizio severo verso noi stessi, le nostre fragilità che forse in questa pandemia si sono perfino ingrandite e palesate.

8. Diap Dopo queste piccole riflessioni, andiamo nel profondo, ho scelto come titolo "I piedi dei discepoli e piedi del risorto"
perché i piedi indicano il CAMMINO, stanacamente o a passo lento. I piedi dicono la DIREZIONE, l'ORIENTAMENTO, IL SENSO DEL PROPRIO ANDARE. Esprimono l'OBIETTIVO che si è scelto per la propria esistenza.
Diversi sono i piedi che si possono incrociare se accettiamo di metterci anche noi sulla strada. Fissiamo ora l'attenzione sui piedi dei due discepoli( Emmaus ) e su quelli del Risorto.


9 DIAP "due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus
Ogni persona è sempre in cammino verso QUALCOSA/QUALCUNO. Ognuno, piano piano, plasma se stesso a misura di ciò verso cui si DIRIGE o da cui FUGGE. I due discepoli stanno "andando verso" qualcosa/qualcuno o stanno "fuggendo da"?
Quello dei discepoli di EMMAUS è certamente uno fra i brani più suggestivi e, per certi versi, più aderente alla nostra realtà di persone in CAMMINO, certamente con molte certezze , ma spesso vittime di dubbi, perplessità, interrogativi e desideri.
Nel giro di una settimana a Gerusalemme è capitato di tutto. Gesù è stato accolto in maniera trionfale, acclamato come un Re; ha trasmesso il comandamento dell'amore; durante la cena per la Pasqua ha rivelato il valore del servizio della lavanda dei piedi, ha garantito la sua presenza reale spezzando un pane e versando vino; è stato arrestato, ha sopportato tradimenti e rinnegamenti; è stato arrestato, processato, condannato a morte, sepolto…e BASTA. Tutto e' finito. Nel giro di una settimana sono sfumati progetti, speranze e illusioni tessuti pazientemente in tre anni di sequela fedele e attenta.
Sembra di sentirli: "…che delusione…e chi se l'aspettava... lasciamo perdere, andiamo via…basta torniamo ad Emmaus"
Sono i discorsi di due persone che, dopo aver vissuto una esperienza affascinante ed esaltante con Gesù, si ritrovano soli, abbandonati,sconfitti e decidono di abbandonare il CUORE di questa vicenda per dirigersi verso il definitivo ritorno alla realtà di prima, al quotidiano di ogni giorno.
A questo punto, se non conoscessimo l'esito della vicenda e se dovessimo completare la storia con i nostri sistemi, è facile intuire le reazioni: "…e fate come volete…pazienza…peggio per voi…siete grandi e vaccinati…arrangiatevi…"
Nei confronti degli eventi verificatesi in quei giorni essi fuggono piuttosto che assumerne la responsabilità e prendere apertamente una posizione. E' un voltare le spalle.

10. DIAP "si fermarono con il volto TRISTE"
FERMARSI è segno di dubbio, immagine di delusione, scoraggiamento, poca speranza, desolazione. Segno che la meta è generica, scelta senza effettiva passione o convinzione. Si indugia quando ciò che conta non è raggiungere un dato luogo, ma allontanarsi da un altro. La gioia è fuggita dai loro volti e dal loro cuore.


11.DIAP C'è qualcuno che non la pensa così. Gesù si accostò e camminava con loro. Del loro fermarsi, del loro disorientamento, il Risorto fa però occasione di dialogo. L'iniziativa è sua, gratuita e preveniente, giunge inatteso e non invocato. Nel cristianesimo non è l'uomo che trova Dio al termine della sua ricerca religiosa, è invece Dio che cerca l'uomo e gli si fa vicino per pura gratuità: si "fa carne", "pone la sua tenda in mezzo a noi". Chi si accosta è Lui in persona, il Risorto. Cammina al loro fianco, si fa compagno di quella strada, di quella determinata fase del loro cammino.
Loro stanno fuggendo, ma Gesù non va davanti a loro, non li ferma: si accosta e fa strada con loro.
Di fronte al peccato dell'uomo Dio cosa fa? Lo prende su di sé. Ognuno di noi è da Lui appassionatamente cercato e amato proprio mentre sta fuggendo, non NONOSTANTE, ma DENTRO le sue fughe, le sue delusioni…

12. DIAP Il cambio radicale, la conversione, osservato nei piedi dei discepoli, si comprende solo osservando i PIEDI DI GESU' il suo accostarsi, camminare CON, entrare e dimorare.
Questo suo camminare CON rivela la capacità di Dio di non sostituirsi alla libertà dell'uomo, ma la sostiene, Egli cammina con la libertà dell'uomo per liberarla sempre più dal di dentro.
"Fece come se dovesse andare più lontano"
All'uomo che si spaventa davanti alle proprie fughe, alle difficoltà, Dio si fa INCONTRO, non viole perdere nessuno dei suoi. Sono i PIEDI di colui che è disposto ad andare OLTRE.
Mentre i discepoli parlano Gesù li ascolta e li fa parlare. Dopo averli ascoltati, Lui inizia a dialogare, loro ascoltano e lo lasciano parlare perché si tratta di parole che aprono, spiegano, indicano e fanno vedere gli eventi della vita, anche i più oscuri, in un modo nuovo e pieno di speranza. Sembrava loro che tutto ciò che pesava sul loro cuore a poco a poco si sciogliesse. Ed è cosi che, arrivati a destinazione, con semplicità e serenità gli dissero: "Resta con noi, fermati con noi"

13. Diap Leggere

In questo tempo di pandemia, noi credenti, come i discepoli di Emmaus, dovremmo continuare a ripetere al Signore: "Resta con noi". resta con noi, perché brancoliamo nel buio di un male ignoto che rende incerto il nostro futuro, interroga la scienza, spiazza programmi, sconquassa i sistemi politici, devasta le sicurezze economiche e affettive. Resta con noi, perché viene la notte in cui ci rendiamo conto di non aver compreso, fino a ora, la nostra fragilità, la nostra pochezza dinanzi a un mondo ben più complesso di noi e che credevamo tuttavia di poter controllare, senza ricordarci che di questo stesso mondo noi siamo custodi e non dispotici proprietari e sfruttatori.
Ecco allora che, come i "viandanti" di Emmaus, la nostra stessa coscienza (in cui anche Dio ci parla) sembra dirci: "Stolti e lenti di cuore" (Lc 24,25), perché non abbiamo compreso il ruolo che il Creatore aveva affidato all'uomo nel consegnarli le "chiavi" di questo pianeta; perché ci siamo creduti onnipotenti e capaci di bastare a noi stessi nella soddisfazione egoistica di ogni nostro desiderio, mentre la pandemia ci mette davanti agli occhi una grande verità, troppo spesso dimenticata: nessuno si salva da solo.

Anche noi, dunque, siamo in cammino, con compagni di viaggio proprio come i due discepoli di Emmaus che percorrevano assieme la strada verso un villaggio distante.
E il senso di questo camminare a due a due - che diventa cura, attenzione, comprensione, sostegno dell'uno verso l'altro - si declina concretamente in mille sfaccettature che passano dal rispetto delle leggi (soprattutto in questo momento, ricordando anche quanto diceva don Bosco: "Buoni cristiani e onesti cittadini") che ci consentono di aiutare anche chi è lontano da noi (oltre a noi stessi), al fare "chiesa domestica" nelle nostre case; dal condividere tempi di fraternità "virtuale" con gli amici, incoraggiandosi a vicenda, fino al pregare gli uni per gli altri, anche attraverso i moderni mezzi di comunicazione, sperimentando così che l'unione vera è quella del cuori, che non conosce confini geografici e costrizioni spaziali.
È certamente una quotidianità diversa da quella che conoscevamo, questa che la pandemia ci porta a vivere… ma proprio questo stare nel quotidiano, nel "domestico" in maniera quasi "forzata" e rallentata, ci permette di portare più attenzione alle parole di un Dio che ci parla nel corso della storia, e ci riconduce al momento in cui i discepoli riconoscono il Signore, durante la cena, allo spezzare del pane. In un gesto, cioè, di straordinaria ferialità, di "ordinaria amministrazione", che però diventa la luce che squarcia il buio e fa finalmente "vedere" in modo nuovo ai due discepoli la realtà che avevano avuto innanzi fino a quel momento.
Fare dunque gli auguri di Pasqua, in questo tempo di emergenza sanitaria, è paradossalmente invitare gli altri a vivere l'etica pasquale divenendo, come Gesù, "scandalo" e "stoltezza" per la mentalità del nostro tempo, tutta radicata nella potenza e nella forza piuttosto che nell'amore, nell'avere più che nell'essere, nell'apparire più che nel donare, nella tentazione di non rispettare regole, norme sociali, giuridiche, ambientali che sono per il bene di tutti, proprio come ci viene chiesto adesso in quanto la salute non è solo uno dei diritti fondamentali dell'uomo, di ogni uomo senza alcuna discriminazione, ma implica anche un dovere di solidarietà sociale.

Paradossalmente in questo tempo di epidemia sentiamo ancora più forte il bisogno di vivere la Pasqua, perché tutti avvertiamo che il nostro cuore è una tomba ricoperta da un masso sepolcrale; ebbene la nostra fede in Cristo Risorto ha il potere di rotolarlo via, e di far tornare il nostro cuore nuovamente un giardino nel quale fioriranno alberi di pace, di amore, di gioia, di speranza.
In questa Pasqua allontaniamo, dunque, ogni pensiero che impedisce a Gesù di rotolare questo masso e di farlo risorgere dentro il nostro cuore. La Pasqua di risurrezione è insomma non soltanto un evento da celebrare ma da vivere e praticare. Chi crede e vive nel Risorto, diventa prova tangibile che Gesù è davvero risorto. La nostra conversione, in buona sostanza, è la prova che Gesù è risorto ed è vivente, che lui non appartiene al regno dei morti ma dei vivi; solo il nostro lasciarci cambiare e ogni giorno convertire da Gesù, diventa segno dimostrativo della risurrezione del nazareno.
Augurare Buona Pasqua è l'invito ad essere persone credenti che riescono a testimoniare che laddove sembra esserci solo fallimento, dolore, isolamento, morte e sconfitta, proprio lì c'è, invece, tutta la potenza dell'Amore sconfinato di Dio, perché la Croce è espressione di amore e l'amore è la vera potenza che si rivela proprio in questa apparente debolezza.
15. Diap frase don Tonino Bello



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